1. "Buttercup"
2. "My Fingers"
3. "Nadine"
3. "Nadine"
4. "Screen"
5. "20th Century"
6. "Good News"
7. "Raise Love"
8. "Bad For The Soul"
9. "Down"
10. "Rockstar"
11. "We"
11. "We"
Il chitarrista dei Pearl Jam Stone Gossard dà vita a questo progetto insieme all'amico Shawn Smith (già nei Stachel e nei Pidgeonhead e che si occupa di voce,pianoforte,tastiere e chirarre aggiuntive) e Regan Hagar (batterista anche lui nei Satchel,ma prima ancora nei Malfunkshun di Andy Wood,Leader e cantante dei futuri Mother Love Bone dove militerà anche Gossard insieme a jeff Ament,poi 'creatori dei Pearl Jam) e con l'aiuto del bassista Jeremy Toback (anche all'organo e alla voce).
Quando questo disco fece capolino nei negozi di musica,molti non lo cagarono nemmeno di striscio.
"Cazzo ce ne frega del chitarrista dei Pearl?A noi interessano i Pearl!!!"...questa era un po' la sostanza dei commenti dei miei coetanei appena sedotti da "Ten" e che vedevano in Eddie Vedder il messia figo e carismatico che ci avrebbe salvati tutti dalla depressione...a me invece aveva colpito il singolo di "20th Century" (video della settimana su VideoMusic...che ve lo dico a fare...la grande M Verde era sempre lì pronta a regalare chicche!!!),soprattutto mi incuriosiva sia la vena funk dell'album,che la voce molto Stevie Wonder di Shawn Smith,che mi intrigava non poco.
I soldi erano quelli che erano,così riuscii a farmi duplicare una cassetta di questo "Shame",e ne rimasi colpito subito.
Niente Pearl Jam,niente grosse chitarre e ritmiche pulsanti,niente martelli degli dei alla Zeppelin,nè quadropheniane suite o urla e ruggiti fragorosi...anzi,semmai tutto l'opposto...suoni tenui,qualche virata funk grazie al basso sempre in impennata di Toback,e Gossard quasi relegato in secondo piano,perchè davanti ci sono le doti pianisctiche (limitate certo,ma d'effetto) e la voce del buon Shawn,mentre Regan Hagar,oltre ad allestire una copertina quassi inquietante (ma anche curiosa) fa il suo sporco lavoro di gregario dietro ai tamburi senza strafare e senza però perdere mai la misura del suo drumming.
Un disco semplice insomma....beh,ora...semplice...non proprio.
Casomai "Shame" è un album che si rivela essere un'ottimo esempio di come una band lavori insieme sfornando 11 buonissime tracce senza per forza dover tirare fuori dal cilindro il coniglio-hit senza il quale non si vive.
Quando questo disco fece capolino nei negozi di musica,molti non lo cagarono nemmeno di striscio.
"Cazzo ce ne frega del chitarrista dei Pearl?A noi interessano i Pearl!!!"...questa era un po' la sostanza dei commenti dei miei coetanei appena sedotti da "Ten" e che vedevano in Eddie Vedder il messia figo e carismatico che ci avrebbe salvati tutti dalla depressione...a me invece aveva colpito il singolo di "20th Century" (video della settimana su VideoMusic...che ve lo dico a fare...la grande M Verde era sempre lì pronta a regalare chicche!!!),soprattutto mi incuriosiva sia la vena funk dell'album,che la voce molto Stevie Wonder di Shawn Smith,che mi intrigava non poco.
I soldi erano quelli che erano,così riuscii a farmi duplicare una cassetta di questo "Shame",e ne rimasi colpito subito.
Niente Pearl Jam,niente grosse chitarre e ritmiche pulsanti,niente martelli degli dei alla Zeppelin,nè quadropheniane suite o urla e ruggiti fragorosi...anzi,semmai tutto l'opposto...suoni tenui,qualche virata funk grazie al basso sempre in impennata di Toback,e Gossard quasi relegato in secondo piano,perchè davanti ci sono le doti pianisctiche (limitate certo,ma d'effetto) e la voce del buon Shawn,mentre Regan Hagar,oltre ad allestire una copertina quassi inquietante (ma anche curiosa) fa il suo sporco lavoro di gregario dietro ai tamburi senza strafare e senza però perdere mai la misura del suo drumming.
Un disco semplice insomma....beh,ora...semplice...non proprio.
Casomai "Shame" è un album che si rivela essere un'ottimo esempio di come una band lavori insieme sfornando 11 buonissime tracce senza per forza dover tirare fuori dal cilindro il coniglio-hit senza il quale non si vive.
Anzi,proprio perchè l'album non è eclatante e non brilla per la sua potenza (bensì per i suoi arrangiamenti minimali ma azzeccati più che mai),si respira un'aria intima,familiare e delicata.
Sembra di entrare in una di quelle case abbandonate dove ogni stanza può raccontare una storia.
"Buttercup" si occupa dell'apertura,ed è un salotto,immerso in un pomeriggio da dopo pioggia,dopo un temporale autunnale,dove oltre le finestre si vede quella linea rossa che scende nel viola,e dove affiorano i ricordi di una relazione finita...la voce di Shawn Smith è sottile,soul,mentre Gossard si occupa di accompagnare con la chitarra una frase tastieristica soffusa e che ogni tanto brilla di lampi che attraversano le tende,finchè il vento,di un caldo quasi inusuale,si insinua tra le parole e la batteria appena accennata di Regan Hagar.
Si passa a "My Fingers",ci troviamo in cortile,in un momento di risa e di caleidoscopi invernali,in mezzo ad altalene che dondolano al ritmo di un'incalzante sezione ritmica che confeziona la song più dura di tutto l'album,supportata magnificamente da un riff di Gossard che non lascia fiato neppure nella strofa in cui la voce di Smith si fa 'sommersa' da un flanger sinistro e molto ' rock '90 '.
Sembra di entrare in una di quelle case abbandonate dove ogni stanza può raccontare una storia.
"Buttercup" si occupa dell'apertura,ed è un salotto,immerso in un pomeriggio da dopo pioggia,dopo un temporale autunnale,dove oltre le finestre si vede quella linea rossa che scende nel viola,e dove affiorano i ricordi di una relazione finita...la voce di Shawn Smith è sottile,soul,mentre Gossard si occupa di accompagnare con la chitarra una frase tastieristica soffusa e che ogni tanto brilla di lampi che attraversano le tende,finchè il vento,di un caldo quasi inusuale,si insinua tra le parole e la batteria appena accennata di Regan Hagar.
Si passa a "My Fingers",ci troviamo in cortile,in un momento di risa e di caleidoscopi invernali,in mezzo ad altalene che dondolano al ritmo di un'incalzante sezione ritmica che confeziona la song più dura di tutto l'album,supportata magnificamente da un riff di Gossard che non lascia fiato neppure nella strofa in cui la voce di Smith si fa 'sommersa' da un flanger sinistro e molto ' rock '90 '.
"Nadine",col suo funk (qui sì,c'è tutto Stevie Wonder!) guidato dal basso di Jeremy Toback,ci porta in camera da letto,in momenti urbani e mattinieri,dove dalla finestra si osserva il traffico e ci si tira i cuscini come bambini,dove scene si ripetono nella mente,nel tentativo di dimenticare,di essere al di sopra di tutto,nel tentativo di trovare un posto ove riposare.
Si passa per il bagno,davanti allo specchio,dove la riflessione cupa di "Screen",sorretta da un giro che potrebbe ricordare i Mother Love Bone (ma molto più soul),ci porta dentro un turbine di solitudine,un'introspezione sull'autogiustificazione,su un qualcosa che si è perso,su un modo di essere e di affrontare l'oscurità di uno schermo che non riflette più la realtà.
Forse la canzone più sentimentale del disco (un'assolo di Gossard da lacrime e dolore che fa rizzare la pelle),e che ci porta in garage,in una vecchia sala prove oramai piena di foglie e polvere.
E qui arriva "20th Century",un granitico funk rock sorretto magistralmente dalla coppia Toback-Gossard e dalle percussioni di Bashiri Johnson (ospite in tutto l'album) unite alla quadratissima batteria di Hagar e che fanno da tappeto a Smith ed al suo invito a guardare al ventesimo secolo,nonostante non sembri ci sia nulla da guardare al di là del domani prossimo.
Forse la canzone più sentimentale del disco (un'assolo di Gossard da lacrime e dolore che fa rizzare la pelle),e che ci porta in garage,in una vecchia sala prove oramai piena di foglie e polvere.
E qui arriva "20th Century",un granitico funk rock sorretto magistralmente dalla coppia Toback-Gossard e dalle percussioni di Bashiri Johnson (ospite in tutto l'album) unite alla quadratissima batteria di Hagar e che fanno da tappeto a Smith ed al suo invito a guardare al ventesimo secolo,nonostante non sembri ci sia nulla da guardare al di là del domani prossimo.
Si ritorna in casa,in cucina,dove "Good News",dall'atmosfera intima e familiare,mostra il lato più seventies della band in una ballad davvero riuscitissima,dove Gossard singhiozza la sua chitarra senza sopraffare la bella intesa di piano e batteria...una scena musicale delicata dove abbiamo a che fare con la figura della donna come riferimento al cambiamento,un esempio per riprendere la propria vita in mano.
Dalla cucina si passa ad un solaio illuminato e all'incitamento all'amore di "Raise Love",canzone energica e dominata dalla chitarra di Gossard che spinge Smith a una bella prova vocale,per non parlare dell'ottimo incastro tra il basso di Toback e le percussioni di Johnson.Di sicuro è la canzone più solare,connubio di groove e melodia più riuscito dell'album,dove Gossard,forse,si ricorda di essere anche il chitarrista dei Pearl Jam richiamando un po' "Stop" dei Jane's Addiction.
E si riattraversano i corridoi,in una mattinata un po' stordita al ritmo di "Bad For The Soul",dove per un minuto o giù di lì i Brad si travestono da gruppo supporto di Bette Davis e ci portano nello scantinato.
La band qui si scambia gli strumenti e confeziona la canzone più oscura del lotto.
"Down",composta e cantata da Jeremy Toback,si insinua in un mattino freddo,tra scheletri negli armadi,demoni della droga,soffusi pensieri appesantiti da un plumbeo organo e da rumori esterni,in una specie di atmosfera sospesa e quasi irreale...dallo scantinato si intravede la luce che filtra attraverso le piccole finestre....e allora si risale,si risale a ritmo dell'ironica e grottesca "Rockstar" che trasforma l'idea di rockstar in una specie di zombie robot che pronuncia le solite frasi fatte ed è pronta a salvarci come Gesù.
La band qui si scambia gli strumenti e confeziona la canzone più oscura del lotto.
"Down",composta e cantata da Jeremy Toback,si insinua in un mattino freddo,tra scheletri negli armadi,demoni della droga,soffusi pensieri appesantiti da un plumbeo organo e da rumori esterni,in una specie di atmosfera sospesa e quasi irreale...dallo scantinato si intravede la luce che filtra attraverso le piccole finestre....e allora si risale,si risale a ritmo dell'ironica e grottesca "Rockstar" che trasforma l'idea di rockstar in una specie di zombie robot che pronuncia le solite frasi fatte ed è pronta a salvarci come Gesù.
Ma si intravede la luce,più si sale e più la luce si fa intensa,così come sul ritmo di "Rockstar" si insinua e poi prende vita la conclusiva "We",una corale ed intensa lettera di addio che diventa sempre più intensa...il piano sorregge il cadenzato ritmo della batteria di Hagar,mentre Gossard sperimenta distorsioni ed armonie mentre questo senso di 'liberazione' dall'oscurità incontrata in precedenza sembra farsi sempre più presente ed intenso.
e poi,improvvisamente...STOP.
La canzone si spezza,si interrompe di colpo,ed un messaggio tra il serio ed il faceto ci fa ritrovare davanti a questa casa,con la porta sbattuta in faccia,mentre il pomeriggio sta finendo ed il grigio del brutto tempo sembra arrivare da lontano.
e poi,improvvisamente...STOP.
La canzone si spezza,si interrompe di colpo,ed un messaggio tra il serio ed il faceto ci fa ritrovare davanti a questa casa,con la porta sbattuta in faccia,mentre il pomeriggio sta finendo ed il grigio del brutto tempo sembra arrivare da lontano.
I Brad regalano un prima prova acerba ma convincente : dal punto di vista compositivo ci si trova davanti a qualcosa che è contemporaneamente appena abbozzato e ben definito.
I quattro componenti lavorano all'unisono ma sembrano lasciare sempre un qualcosa indietro che spesso fa assomigliare le canzoni a jams più che a songs vere e proprie.
Ciò nonostante,la delicatezza di "Buttercup" ed il groove di "Nadine" e "Raise Love" rimangono in testa,al punto di voler di nuovo rientrare in quella casa,fatta di storie,di maschere (le stesse che compaiono sulla copertina o altre???),di riflessioni e momenti irripetibili.
Sono anni che,tramite il mio walkman,entro in quella casa,ed ogni volta,le atmosfere di questo disco mi danno l'idea che si possono raccontare storie e solleticare l'immaginario pur non essendo delle divinità musicali,ma semplicemente abili musicisti che,sulla scia dell'improvvisazione,sanno magicamente tirare fuori un bel connubio di atmosfere e partiture,senza per forza essere grandi rockstar (ironia della sorte,Gossard lo è già diventato con "Ten") che abitano in palazzi alti e lussureggianti.
A volte bastano degli ottimi artigiani che abitano in una casa vecchia quanto il mondo.
I quattro componenti lavorano all'unisono ma sembrano lasciare sempre un qualcosa indietro che spesso fa assomigliare le canzoni a jams più che a songs vere e proprie.
Ciò nonostante,la delicatezza di "Buttercup" ed il groove di "Nadine" e "Raise Love" rimangono in testa,al punto di voler di nuovo rientrare in quella casa,fatta di storie,di maschere (le stesse che compaiono sulla copertina o altre???),di riflessioni e momenti irripetibili.
Sono anni che,tramite il mio walkman,entro in quella casa,ed ogni volta,le atmosfere di questo disco mi danno l'idea che si possono raccontare storie e solleticare l'immaginario pur non essendo delle divinità musicali,ma semplicemente abili musicisti che,sulla scia dell'improvvisazione,sanno magicamente tirare fuori un bel connubio di atmosfere e partiture,senza per forza essere grandi rockstar (ironia della sorte,Gossard lo è già diventato con "Ten") che abitano in palazzi alti e lussureggianti.
A volte bastano degli ottimi artigiani che abitano in una casa vecchia quanto il mondo.